30 agosto 2014

Il conte Ugolino mangiò i suoi figli?

‹‹Poscia, più che ‘l dolor, poté ‘l digiuno››
Inf, XXXIII, v. 75


Il conte Ugolino e i suoi figli in una rappresentazione
di Gustavo Doré.
Questo verso è impossibile da parafrasare e di difficile interpretazione, poiché come in altri passi della sua Commedia, anche qui Dante ha voluto ambiguamente lasciare alla frase molteplici significati e sfumature. I principali filoni interpretativi sono due: il primo sostiene che il conte Ugolino, dopo la morte dei suoi figli, si sia cibato dei loro corpi prima di morire anch’egli; il secondo invece crede che semplicemente il conte Ugolino sia morto subito dopo i suoi figli, non tanto per il dolore, quanto per il digiuno straziante che ormai lo aveva reso cieco e debole.



Il filone interpretativo legato all’antropofagia del conte Ugolino si basa su una voce di cronaca popolare secondo cui all’apertura della cella, i cinque corpi senza vita vennero ritrovati straziati: ‹‹l’uno che mangiò delle carni all’altri››.

Il filone legato alla morte del conte Ugolino per disperazione e digiuno è basato sulla testimonianza secondo cui all’apertura della cella della fame, nel marzo del 1289, i cinque corpi senza vita vennero trovati intatti, e apparentemente la loro morte sembrava vicina.

Il conte Ugolino che rode la testa dell'arcivescovo
Ruggeri, in un'illustrazione di Gustavo Doré.
Dante lascia volontariamente ambiguo il verso finale del discorso del conte Ugolino; tuttavia nel corso del canto dissemina indizi che lasciano intendere il suo scopo: far credere al lettore che il conte Ugolino abbia effettivamente mangiato i suoi figli. Infatti il canto si apre con un’immagine antropofaga ‹‹La bocca sollevò dal fiero pasto/ quel peccator, forbendola a’ capelli/ del capo ch’elli avea di retro guasto›› (vv. 1-3) e tra i versi sono presenti numerosissimi termini che fanno riferimento al campo semantico del manducare: ‹‹rodo›› (v. 8), ‹‹fame›› (v. 23), ‹‹magre, studiose›› (v. 31), ‹‹scane›› (v. 35), ‹‹fender›› (v. 36), ‹‹pane›› (v. 39), ‹‹cibo›› (v. 44), fino a ‹‹digiuno›› del verso 75 preso in esame.

Inoltre Dante inserisce un’allusione all’antropofagia nel verso 58, in cui il conte Ugolino racconta: ‹‹ambo le man per lo dolor mi morsi››; questo atto mette soggezione ai figli, spaventati anche dal sogno premonitore (vv. 28-36) al punto che sembra sentano la sorte che spetterà loro.

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