Dal De rerum natura, libro IV vv. 1049-1060:
Namque omens plerumque
cadunt in vulsus et illam
emicat in
partem sanguis, unde icimur ictu,
et si comminus
est, hostem ruber occupat umor.
Sic igitur
Veneris qui telis accipit ictus,
sive puer membris muliebribus hunc iaculatur
seu mulier toto iactans e corpore amorem,
unde feritur, eo tendit gestique coire
et iacere umorem in corpus de compore ductum;
namque
voluptatem praesagit muta cupido.
Haec Venus est nobis; hinc autemst nomen amoris,
hinc illaec primum Veneris dulcedinis in cor
stillavit
gutta et successit frigida cura.
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Infatti di solito tutti
cadono dalla parte della ferita e il sangue sprizza in quella direzione da
cui siamo colpiti dal colpo e, se è vicino, il getto rosso tinge il nemico.
Così dunque chi riceve
ferite dai dardi di Venere, sia che lo scagli un fanciullo con membra
femminee o una donna irradiando amore da tutto il corpo, si tende là da dove
è stato ferito, e smania di unirsi e di riversare l’umore tratto dal proprio
corpo in quel corpo.
Questa è Venere per noi;
da qui allora il mone di amore, da qui prima stillò in cuore una goccia
dolcissima della dolcezza di Venere e subentrò la fredda pena.
(Traduzione di Paola Riaggio)
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Questi versi sono tratti dal De
Rerum Natura, l’unica ed incompleta opera di Lucrezio, poeta romano vissuto
tra il 90 e il 50 del I secolo a.C., Della vita di Lucrezio sono incerte moltissime
notizie, perché nella sua opera, che lui immaginava come un messaggio universale
portatore di verità, non parla di sé per non togliere spazio alla dottrina da
esporre: l’epicureismo.
La dottrina epicurea nasce dagli insegnamenti di Epicuro, filosofo
greco vissuto nel IV secolo a.C., secondo cui il fine della vita dell’uomo è la
felicità e perché ci sia felicità, è
necessario provare piacere. Per Epicuro
il piacere è dato dall’assenza di dolore fisico (aponia) e dall’assenza di dolore nell’animo (atarassia). Epicuro distingue diverse tipologie di piacere,
sostenendo che solamente il piacere stabile
è la causa effettiva della felicità, poiché questo piacere appaga i bisogni
naturali e necessari.
Sulla base di questi principi, la via per raggiungere il piacere è
semplice e basata sul tetrafarmaco,
ossia su quattro semplici proposizioni che sintetizzano il pensiero epicureo:
1)
Il piacere è facilmente
conseguibile;
2)
Il dolore è facilmente
sopportabile;
3)
La morte non riguarda
l’uomo;
4)
Gli dei, pur esistendo, non
si occupano degli uomini.
Poiché il fine dell’epicureismo è il piacere, e il piacere è
fortemente personale e soggettivo, la dottrina epicurea è individualistica, con
una componente egoistica: per il saggio epicureo non è necessario far parte
della vita politica poiché quest’ultima viene vista come la causa della voglia
di ottenere potere, fama e denaro, tutti piaceri che Epicuro considera non naturali e non necessari, e che quindi non aiutano a raggiungere atarassia ed aponia,
ma che bensì nuocciono all’animo.
Tuttavia l’amicizia è un valore fondamentale nella vita del
saggio, anche se l’epicureo preferisce esclusivamente la compagnia di persone
che seguono il suo stesso tipo di vita, condividendo i pensieri e la ricerca
della quiete e dell’equilibrio; mentre evita le persone tormentate da ansie, poiché queste possono influenzare e
compromettere l’equilibrio del saggio.
Per questo Lucrezio, in questo breve passo della sua opera,
descrive la passione amorosa come negativa per l’uomo: poiché l’ossessione
fisica e psichica causata dall’amor
danneggia l’atarassia e compromette
l’equilibrio necessario alla felicità.
L’epicureismo distingue due tipi di amore: venus, il sesso, ossia l’istinto naturale e bisogno primario e
necessario, dunque positivo; e l’amor,
la passione, ossia un’ossessione irrefrenabile che impedisce l’atarassia, dunque negativo.
Cupido in un dipinto di Caravaggio,
del 1601 circa.
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Continuando la descrizione, Lucrezio descrive l’amore quando si
insinua dolcemente ‹‹primum Veneris dulcedinis in cor/stillavit gutta›› (vv.
1060-1061), descrizione lenta e dolce che prende un verso e mezzo, che poi si
conclude con tre parole, dure e fredde ‹‹successit frigida cura›› che spezzano
repentinamente la lunga e melodiosa armonia dell’innamoramento. La forte
antitesi tra la dolcezza dell’amore e la freddezza in cui presto si trasforma,
è data dai ritmi (lento prima, veloce dopo) e dai diversi suoni, che nelle
ultime tre parole diventano aspri e freddi.
Nei versi, la causa dei disturbi, e dunque la condanna verso cui
Lucrezio punta il dito, non è tanto chi sia
l’oggetto della passione (‹‹sive puer membris […]/ seu mulier›› (vv.1053-1054),
bensì il fatto di per sé che un uomo possa sperare di possedere il corpo di un altro
e di placare un desiderio e un piacere inutili; questo viene condannato da
Lucrezio perché per l’epicureismo nessuno dovrebbe dipendere dal sostegno e
dalla presenza di altre persone.
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