31 agosto 2014

Lucrezio e la follia amorosa


Dal De rerum natura, libro IV vv. 1049-1060:

Namque omens plerumque cadunt in vulsus et illam
emicat in partem sanguis, unde icimur ictu,
et si comminus est, hostem ruber occupat umor.
Sic igitur Veneris qui telis accipit ictus,
sive puer membris muliebribus hunc iaculatur
seu mulier toto iactans e corpore amorem,
unde feritur, eo tendit gestique coire
et iacere umorem in corpus de compore ductum;
namque voluptatem praesagit muta cupido.
Haec Venus est nobis; hinc autemst nomen amoris,
hinc illaec primum Veneris dulcedinis in cor
stillavit gutta et successit frigida cura.


Infatti di solito tutti cadono dalla parte della ferita e il sangue sprizza in quella direzione da cui siamo colpiti dal colpo e, se è vicino, il getto rosso tinge il nemico.
Così dunque chi riceve ferite dai dardi di Venere, sia che lo scagli un fanciullo con membra femminee o una donna irradiando amore da tutto il corpo, si tende là da dove è stato ferito, e smania di unirsi e di riversare l’umore tratto dal proprio corpo in quel corpo.
Questa è Venere per noi; da qui allora il mone di amore, da qui prima stillò in cuore una goccia dolcissima della dolcezza di Venere e subentrò la fredda pena.

(Traduzione di Paola Riaggio)

Questi versi sono tratti dal De Rerum Natura, l’unica ed incompleta opera di Lucrezio, poeta romano vissuto tra il 90 e il 50 del I secolo a.C.,  Della vita di Lucrezio sono incerte moltissime notizie, perché nella sua opera, che lui immaginava come un messaggio universale portatore di verità, non parla di sé per non togliere spazio alla dottrina da esporre: l’epicureismo.

La dottrina epicurea nasce dagli insegnamenti di Epicuro, filosofo greco vissuto nel IV secolo a.C., secondo cui il fine della vita dell’uomo è la felicità e perché ci sia felicità, è necessario provare piacere. Per Epicuro il piacere è dato dall’assenza di dolore fisico (aponia) e dall’assenza di dolore nell’animo (atarassia). Epicuro distingue diverse tipologie di piacere, sostenendo che solamente il piacere stabile è la causa effettiva della felicità, poiché questo piacere appaga i bisogni naturali e necessari.